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MARCO, FABRIZIO E ROBERTA SU TVQUI

Marco Landi, Fabrizio Tagliaferri e Roberta Rossi ospiti a TvQui.
I due autori formiginesi si raccontano nel salotto di Maria Cristina Martinelli attraverso i loro libri: Vivace/Grave, raccolta di racconti accompagnati dagli scatti fotografici di Marco, e L’uomo col cuore in soffitta, prima raccolta di poesie di Fabrizio Tagliaferri.
http://www.tvqui.it/index.php?option=com_allvideoshare&view=video&slg=pomeriggio-qui-due-giovani-contro&orderby=latest&Itemid=1053

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IN ORDINE SPARSO

I racconti del libro In ordine sparso sono stati scritti durante il corso di scrittura creativa in Formigine autunno 2103 da:
Maria Elena Barbieri
Giacinta Benassi
Margherita Casolari
Fiorella Fratti
Franca Guizzardi
Raffaele Morini
Rita Neri
Renata Solmi
Elettra Taddei
Con la collaborazione di:
Sandro Zaccarini

Non so cosa spinga una persona a frequentare un corso di scrittura creativa. Non tutti quelli che partecipano a corsi di questo genere aspirano a diventare scrittori, anzi quasi nessuno.
In tutti però esiste un elemento condiviso: la voglia di raccontarsi.
D’altra parte non credo si possa insegnare a scrivere, non in senso stretto: lungi da me il proposito di trasformare un partecipante al corso in un provetto scrittore.
Si può, anzi si deve stimolare la creatività. Si deve spiegare che esistono prospettive e linguaggi diversi per raccontare ciò che vediamo intorno a noi o che vive nella nostra memoria: quel modo sarà unico e irripetibile, perché rappresenta il nostro modo di vedere il mondo, rielaborarlo, renderlo interessante agli occhi del lettore.
Non esistono scorciatoie: la scrittura è prima di tutto fatica, costanza, dedizione e impegno. Occorre leggere e rileggere, lavorare di “scalpello”, per ricavare da un blocco di marmo una scultura armoniosa.
È necessario trovare un equilibro tra lingua opaca e lingua trasparente, scegliere tra prima o terza persona narrante, costruire personaggi forti e dialoghi incisivi. Andare dritto al sodo con la storia, non cincischiare nei dettagli, non voler stupire con l’aggettivazione. In tre parole: raccontare con onestà.
Ma occorre prima di tutto lasciarsi andare davanti alla pagina bianca.
Armati di penna, foglio e idee “in ordine sparso”, i nove partecipanti al corso di scrittura creativa, i cui racconti animano le pagine di questo libro, hanno dato vita a storie più o meno inventate, più o meno autobiografiche, sfoderando ironia, sarcasmo, lucidità, follia, spregiudicatezza, realismo, fantasia.
Diversi ogni sera gli stimoli proposti, ispirati a opere letterarie di differenti periodi storici e potenziati da suggestioni gustative e olfattive proposte da un esperto sommelier.
Venti i minuti per tradurre su carta pensieri ed emozioni, ambienti e personaggi. Senza filtri, senza paura di commettere errori. Poi la revisione, perché per aggiustare periodi e proposizioni c’è sempre tempo.
Il risultato è una raccolta di racconti gradevole, piena di umanità, libera dalla pretesa di mostrarsi perfetta: il che la rende ancora più intensa, intrigante, viva. Da leggere e da gustare per quello che è: il frutto della vena creativa di persone che hanno frequentato un corso di scrittura, semplicemente spinti dalla voglia di raccontarsi.

                                                                                                                                                        Roberta Rossi
Curatrice del corso di scrittura creativa
Direttore responsabile di Edizioni Terra marique

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L’UOMO COL CUORE IN SOFFITTA

Può esistere qualcosa di più precario che raccontare in frammenti la precarietà, sentimentale e non, di oggi?
Fabrizio Tagliaferri, in questa primissima raccolta di poesie, non ambisce a mettere ordine nell’affollarsi dei suoi mostri di carta. Si accontenta, ma senza l’accenno di resa alcuna, di lasciare che prendano il sopravvento, nel loro succedersi affannoso e naturale.
Tentando di dar vita al suo sogno poetico, non persegue vie scontatamente liriche. I suoi occhi non cercano ispirazione nelle vie celesti, ma restano ben ancorati a terra.
Le sue parole trovano nutrimento in una genuina tazza di latte, nei buoni tortellini della nonna. Percorrono luoghi di sapore tondelliano, abitati da prostitute crudeli quanto materne, letti consumati da amori agrodolci, bagarini senza memoria che vendono biglietti per spettacoli inesistenti, e insospettabili poeti alla guida di una vecchia auto malandata.
Prende vita così il ritratto (abbozzato) di una generazione giovane, o forse costretta a rimanere tale, che scorrazza dentro e contro un’asfissia, pronta nonostante tutto ad aprirsi, quasi violentemente, al colore e alla gioia.
La profondità e l’originalità di questa raccolta poetica risiedono non nella dimensione del canto ma in quella della narrazione. Il poeta ci regala storie inesemplari, incontri prosaici, scenari umili e personaggi lontani dai grandi eroi. Ecco allora che, proprio quando il ritmo cresce e la retorica potrebbe prendere il sopravvento, il poeta mette mano all’ironia. Sfugge liriche invocazioni alle stelle capaci solo di rimandarlo a settembre, si interroga sul mistero della fede immaginando Dio ballare il rock, si rivolge all’amata con ormonali moine.
L’estremo realismo, però, non è sinonimo di desolazione, ma si offre come atto di estrema sincerità, uno sguardo sul piccolo mondo reso con occhi disillusi, ma non per questo disinnamorati. Infatti i delicati fiori hanno lasciato posto a spine in grado però di regalare verdi germogli. C’è sempre una Arianna a donarci la speranza e, come l’uomo col cuore in soffitta, si vive grazie a delle macchine ma si muore ancora per amore.
Succede allora che, in un mondo che poco concede alla poesia, si faccia strada il fiabesco e il pessimismo si tramuti in precario ottimismo.
Che consista proprio in questo il nostro credo quotidiano?

                                                                                                                                            Marie Louise Crippa

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VIVACE/GRAVE

Nei tre anni di coma cerebrale di Cristina, Marco la va a trovare tutte le settimane. Mezz’ora.
Guarda quello che rimane di sua madre e la sua mente è assalita da un unico istinto: scrivere.
Istinto di sopravvivenza, istinto di morte, racconti di vita, racconti omicidi, animali smembrati, scenari quotidiani, pensieri surreali si alternano in un caos delirante. Vorticano, fluttuano, nuotano in un fiume formato da sedici racconti. Il diciassettesimo costituisce una fine forzata di quel delirio autolesionista e salvifico.
Scritto a forza un anno dopo la morte di sua madre, vuole chiudere il cerchio.
Ma i racconti raccolti in questo libro non parlano solo di Lei. Parlano di tutt’altro, cercano di rivolgere lo sguardo altrove, a un altrove con più vita e meno senso, perché dentro quella stanza d’ospedale c’è più vita che fuori, nonostante non ci siano suoni, non ci sia calore, non ci sia respiro, ma solo una bolla che sale e scende da un tubo.
E allora vi ostinerete a leggere di cani, pipe, oceani, maiali, lavavetri… ma nonostante tutto la vostra mente tornerà lì, a quella bollicina.
Vivace/Grave, la suddivisione delle  metriche e velocità che frammentano il metronomo, Vivace/Grave è anche il suo stato d’ animo, è la sua vita in questi anni, che non a caso, è sempre stata accompagnata da abbondanti flussi musicali e scandita a suon di metronomo. È la migliore descrizione di questi racconti, i migliori appellativi utilizzabili. Infine è una delle opere di Arcangelo Corelli ricorrente al 1600.

 

 

 

 

 

 

 

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SOGLIA CRITICA

Due omicidi si susseguono nel giro di pochi giorni nel cuore di Bologna. Sulla scena del crimine una rappresentazione simbolica: una scala, il libro “Bel Ami” di Guy de Maupassant e un messaggio. Da questi elementi, e dalla convinzione che i delitti non siano l’opera di un serial killer, partono le indagini del commissario Scozia e della vicecommissario Fiorentino. Cosa si nasconde dietro quei delitti? I due poliziotti sono convinti che per arrivare alla verità sia necessario scavare nel passato delle vittime, scoprire ciò che le accomunava. Ma quando le indagini sembrano puntare i riflettori sul colpevole, la scoperta di un nuovo cadavere rimette tutto in discussione.
Dopo il successo di “Tutto cambia”, il commissario Scozia torna protagonista, insieme alla sua vice Sara Fiorentino, di un nuovo intricato caso.

 

 

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OCEANI E ALTRE VASTITA’

Non so, lettore, se ti sia mai capitato di prendere tra le mani quei biglietti d’auguri antichi, nei quali le parole in bella grafia si mescolavano a immagini dipinte a mano tra oli e luccichii, dove anche le dita assaporano la superficie vellutata e crespa  degli accumuli di colore, una dimensione che per qualche istante immerge in un mondo lontano che ci riporta a qualcosa di perduto, di una infanzia di stupori e speranze non ancora tradite.
Quello che da questi testi trapela è una serie di proiezioni in un tempo sospeso, come interrotto, rallentato, quadri che fissano nell’istante immobile della parola, frammenti di vita che l’autrice coglie attraverso una natura umanizzata, che riconduce a un rapporto più autentico quel sé dell’infanzia che, dimenticato dalla vita adulta, riemerge in uno stupore soffocante.
La raccolta si snoda attraverso tre temi conduttori (natura, epica, sentimento), in una ricerca che attraversa linguaggio e metrica, dalle forme libere a quelle classiche, in un succedersi istintivo, senza sezioni, poiché, in sintonia con la sensibilità della poetessa, spontaneamente si propongono al lettore.
Quella che emerge è una natura-madre che parla all’uomo con immagini che sembrano rifiutare la cristallizzazione intellettuale del simbolo, per assumere quella di semplice sensazione ristoratrice.
Così gli eroi, uomini senza nome, perché appunto uomini, sfumati nelle loro epoche lontane, sembrano cogliere il segreto del tempo e l’essenza di un’esistenza consapevole delle alienazioni del male, vagando nei loro universi mitici fatti della stessa materia del sogno, ma con piedi ben saldi nella solida terra.
È questa la concessione più forte che l’autrice fa alla natura femminile, un viaggio nella vita in cui le radici dell’anima tengono la rotta attraverso un senso di serenità che va oltre i travagli e gli apparenti vuoti dell’esistenza.

                                                                                                                                                                                 Professor Oscar Fontanini

 

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VI CUCINO LA NATURA AUTUNNO INVERNO

Cambia la stagione, cambiano gli alimenti.
Con grande soddisfazione vi propongo le ricette della mia tradizione famigliare, nel periodo dell’anno in cui la nostra cucina propone il meglio. Ed ecco i piatti che uniscono davanti al focolare, come la polenta fumante, la mia preferita, che un tempo si consumava stesa direttamente su un tagliere di legno (stiada), accompagnata da vari intingoli, soprattutto di carne, e innaffiata con un bicchiere di buon vino rosso.
Vi parlerò inoltre della regina delle feste, la pasta sfoglia, indispensabile nella preparazione dei piatti delle grandi occasioni. Non dimenticherò i dolci, per i quali vi proporrò di utilizzare i frutti dell’estate, essiccati al sole o trasformati in marmellate e sciroppi.
In ogni ricetta non mancherà il mio tocco personale, pensato per chi ha intolleranze alimentari o è vegetariano.
Buona cucina a tutti!

                                                                                                                                                                                                               Cinzia Marchi

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DAL DRAGONE AL DON. BIGLIETTO DI SOLA ANDATA

Aldo Corti, classe 1922, ha partecipato alla Campagna di Russia come artigliere alpino nel Gruppo Val Camonica, Divisione Tridentina. In questa autobiografia ripercorre la tragica esperienza della ritirata di Russia e la storia della sua famiglia dai primi del ʼ900 fino alla guerra civile, che è stata particolarmente feroce nel Comune dove ha sempre vissuto, Montefiorino.

Ho avuto la fortuna di trascorrere interi pomeriggi a chiacchierare con Aldo Corti. I suoi racconti volgevano inevitabilmente alla dolorosa esperienza vissuta in Russia tra l’agosto del 1942 e il gennaio dell’anno successivo. Conoscevo le vicende del contingente italiano in terra sovietica dai  libri di storia e da qualche documentario visto in televisione: tutt’altra cosa è aver potuto vivere la ricostruzione di quei mesi drammatici attraverso le parole di chi ne è stato protagonista.
Ringrazio Aldo per la generosità che mi ha dimostrato nel voler tramandare a me, così come a tante altre persone, una parte molto significativa della sua esistenza, insieme ai difficili episodi che si sono succeduti nella sua terra d’origine, Montefiorino, nei mesi successivi al suo rientro in patria.
Perché Aldo Corti, come tanti altri giovani e giovanissimi degli Appennini, non è stato solo un alpino arruolato nel Gruppo Val Camonica, Divisione Tridentina, scampato alla disastrosa campagna di Russia. È stato anche un uomo costretto a fare i conti con i tormenti e le ferite da congelamento che la guerra gli ha lasciato addosso, insieme al terrore di essere richiamato su qualche altro fronte. E poi le incertezze esplose dopo l’8 settembre e l’inizio della lotta armata per la liberazione, che ben presto ha assunto i connotati di una vera e propria guerra civile.
Dopo l’8 settembre, la guerra di Aldo non era ancora finita, come se l’esperienza in Russia non avesse già abbastanza messo a dura prova il suo fisico e la sua mente. Abitando a Montefiorino, dove nel frattempo si era rimesso a fare il fotografo e il barbiere per dare sostentamento alla sua famiglia, ha vissuto in prima persona un altro pezzo della storia italiana, quella che i libri di scuola spesso raccontano con eccessiva superficialità.
L’aggravante, come se per Aldo fosse stata una libera scelta piuttosto che una folle coercizione, era quella di aver combattuto, alleato dei fascisti, contro i sovietici. Come barcamenarsi tra i partigiani da una parte, fondatori proprio a Montefiorino della Repubblica partigiana, e i nazifascisti dall’altra? Tra i primi c’erano gli assassini del padre di Aldo, Olimpio Corti, ucciso per ragioni che tutt’oggi si fa fatica a comprendere o anche solo a intuire. Tra i secondi gli autori di sanguinose stragi, spesso a danno della popolazione montanara inerme, e dell’incendio che devastò il centro di Montefiorino, tra cui il negozio della famiglia Corti.
Fatico a immaginare quanta forza e quanto coraggio ci siano voluti per ricominciare ogni volta, aggrappandosi alla certezza che un futuro migliore si sarebbe prima o poi manifestato. Ed è proprio questo il significato più profondo che ho colto nei racconti di Aldo, che riguardassero la campagna di Russia, la guerra civile o il periodo della ricostruzione: aggrapparsi alla speranza, non mollarla neanche per un secondo.
Ognuno ha le sue guerre da combattere, ogni giorno: Aldo, come tanti suoi conterranei, ha combattuto la sua, violenta, terribile, inutile, in una terra lontana in cui ha comunque deciso di tornare molti anni dopo, forse per capire l’incomprensibile, dargli una consistenza, una dimensione, e quindi lasciarselo alle spalle. Senza mai dimenticare.
Ed ecco spiegata l’urgenza di raccontare, attraverso parole e scatti fotografici che ha portato nelle scuole ed esposto in occasione di numerosissime mostre, il bisogno forse anche di insegnare, con grande umiltà, che dalle esperienze più drammatiche è possibile rialzarsi.
Perché la speranza non è un concetto astratto: io ho avuto la fortuna di vederla negli occhi ormai stanchi di un vecchio e generoso alpino, di percepirla nei suoi racconti, di coglierla nella semplicità di un uomo protagonista di una parte tormentata e controversa della nostra storia recente.

Grazie Aldo
                                                                                                                                                        Roberta Rossi
                                                                                                                                       Direttore responsabile di Edizioni Terra marique

 

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BELLE PERSONE

Spesso si dice che un racconto, per essere un vero racconto, debba avere un inizio, un centro e una fine, una trama  – anche se sottaciuta – costruita ponderando ogni peso, e limando ogni parola fino a raggiungere il massimo di significato, e insieme di mistero, nel minimo dello spazio. Questo è vero, ma è solo una parte, per me: perché un racconto può essere anche volutamente sporco, sospeso, sbilanciato generosamente nella sua struttura, eppure contenere un guizzo, il grumo di un “qualcosa” che è insieme la descrizione creativa di un mondo e il simbolo di quello stesso mondo.
Io non so se queste prose di Luca Casoni siano tecnicamente racconti in base alla prima definizione, o semplicemente pezzi fulminanti, scorrevoli e pieni di vita. Di sicuro, contengono quel guizzo, quel “qualcosa”: descrivono, ricreano descrivendo, un mondo.
Il trattore a cingoli del nonno, i leoni che sbragliano al lago, la sbruffoneria e i corteggiamenti, il Calvario da cui si guardano le stelle e le topine, il rock e l’Ape 50, l’odore dell’asfalto appena steso in mezzo ai castagneti. Questo mondo esiste, ed è così bello leggerne, e anche scriverne.
Luca Casoni lo fa con passione e divertimento, sempre un po’ ghignando: un bello sganassone con cui rimetterci a posto, alla fine, lo tiene sempre da parte. È una gran bella caratteristica di questi testi che il più delle volte, come si diceva, magari non sono storie in senso stretto, piuttosto atmosfere che si sviluppano dettaglio su dettaglio, si tendono giocando con l’attesa, e poi si chiudono, come un elastico mollato a brutto grugno. Alcune si chiudono con una sentenza, con una delusione, un colpo di scena, o un numero da disgraziati; altre sulla soglia di una porta, proprio un attimo prima di aprirla, prima che il giovane protagonista e narratore sappia se il mondo che sta oltre verrà conquistato o gli crollerà davanti agli occhi. Ma l’importante è che questo mondo esiste, e man mano che leggerete, vi renderete conto che continua a esistere, ed è il vostro, e proverete insieme orgoglio di viverci dentro, e malinconia.

                                                                                                                                                      Sandro Campani       

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VI CUCINO LA NATURA PRIMAVERA ESTATE

Dalla mia esperienza sono nate tante semplici ricette che seguono il susseguirsi delle stagioni e utilizzano i prodotti che la terra naturalmente ci offre.
La mia cucina è influenzata dalla tradizione, dai sapori della mia terra, la zona collinare reggiana. Tra le pagine di questo ricettario troverete piatti tipici rielaborati per chi a tavola ha esigenze particolari, come i vegani, i vegetariani e chi soffre di intolleranze alimentari.
Nulla è lasciato al caso in quello che non definirei un semplice ricettario, quanto una stimolante e curiosa proposta per portare in tavola i piatti della tradizione reggiana, strizzando l’occhio al mondo vegetariano e vegano. Una scelta insolita quella dell’autrice Cinzia Marchi, proveniente da una famiglia contadina di Cerredolo, e quindi legata a una tradizione fatta di concia del maiale, gnocco fritto preparato con lo strutto e salumi. Eppure l’esperienza le ha insegnato che si possono gustare ottimi cibi scegliendo con grande attenzione quello che la terra offre, secondo il corso delle stagioni e restituendo al nostro organismo tutti i principi nutritivi di cui necessita.
Non solo ricette, ma anche una particolare attenzione a come muoversi tra le risorse che il nostro territorio ci offre, dal mercato contadino ai prodotti a chilometro zero. E poi le attenzioni in cucina, quando ad esempio si devono pulire e quindi cucinare le verdure. Infine la conservazione in dispensa dei prodotti, dalla surgelazione alla preparazione di marmellate e conserve.
Nulla è lasciato al caso, appunto. Perché Cinzia Marchi ha realizzato questo primo ricettario dedicato alle ricette primaverili ed estive, mettendoci la passione e la conoscenza sviluppata in anni di lavoro ai fornelli. “Una tela bianca” – è così che Cinzia definisce il piatto – “da abbellire con colori e sapori che soddisfino il palato e lo spirito, usando creatività e passione”.