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ECO diVERSO

Con vivo piacere mi sono offerta di scrivere la prefazione a questa bella raccolta di poesie, scritte da Ivana, mia carissima ex-alunna, che ricordo per la sua profonda sensibilità, intelligenza e creatività. Sono ormai passati alcuni anni e ora la ritrovo leggendo i suoi versi: non ho dimenticato i suoi occhi attenti e curiosi, i suoi temi limpidi e perfetti, la sua ottima capacità di cogliere fino in fondo la complessità dei fatti letterari, la sua inesauribile voglia di leggere e capire.
Molteplici e vari sono i temi affrontati nella raccolta: arte, letteratura, vita, bellezza, natura, suggeriti e indagati con uno sguardo benevolo, talvolta dolente, ma sempre garbato e rinnovato dal balsamo benefico della “poesia”, che fin da quando era adolescente Ivana ha amato immensamente. La poesia non muore, resiste contro il tempo, dà senso all’esistenza. Benché di passaggio, il poeta scrive e scrive, svelando l’incanto di suggestive corrispondenze che parlano a chi sa ascoltare ed è in grado di coglierle anche nel grigiore dell’esistenza quotidiana.
I poeti nelle parole di Ivana esplorano significati dimenticati, “echi di versi lontani”, che sprigionano nostalgia, ricordi, rimpianti. Quasi folli, quasi inutili, i poeti non rinunciano a lasciare frammenti di sé in versi intrisi di “impalpabili parole”, tratteggianti gli innumerevoli sentimenti umani.
Molte poesie colpiscono per l’efficace brevitas: parole e versi risuonano di suggestioni classiche, producendo un felice effetto di novità, intrisi di amore, dolore ed emozioni. Il risultato complessivo è quello di riuscire a trasmettere un profondo messaggio esistenziale riassumibile nelle stesse parole di Ivana: felicità /è saper /cogliere /armonia /fra le pause mute /e le discordanze.
Lo scorrere inesorabile del tempo è presente in molte poesie, mitigato dalla “bellezza” che Ivana ricerca intensamente attraverso la parola “pura”, incastonata nel verso quasi come una gemma.
Echi di voci lontane, da Pascoli a Montale e Ungaretti, si intrecciano ai versi di Ivana, delicati eppure coraggiosi, che mantengono intatto l’inesauribile mistero della vita, parafrasato con ineffabili sensazioni.
E prima che il buio/della grande Notte /avanzi, auguro a Ivana di vivere a lungo e di scrivere, scrivere, scrivere.

Professoressa Rosa Maria Coppelli

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Grazie per l’attenzione.
La redazione di Edizioni Terra marique

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ILLUSTRAZIONI PER IL PREMIO LETTERARIO

Pubblico con grande gioia le illustrazioni dell’artista Erik Francesconi, ispirate a tre poesie della silloge “La sera di Macondo” di Tiziana Monari, vincitrice del premio letterario “Città di Montefiorino” 2015.
Complimenti a entrambi per l’ottimo lavoro, che aggiunge ancora più valore al concorso letterario.
Arrivederci al prossimo anno, in attesa di scoprire le sorti dei romanzi e dei racconti piazzatisi ai primi posti.11868594_973200636036458_87367579_n

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METEO…RITICA

Poesie di scarto
Prefazione non conclusa

Scrivere una prefazione è generalmente cosa complessa, ma quando capita di dover premettere parole alla poesia, dire delle cose prima di un poeta, allora ciò che sembrava difficile diventa impresa eroica. I tempi sono quelli che sono e, si sa, gli eroi soffrono di qualche acciacco. A venire in soccorso al mio tentativo di decifrare il libretto che il lettore si trova fra le mani, è stata l’intervista di Nanni Delbecchi ad Andrea Cortelessa su “Il Fatto Quotidiano” del 9 luglio 2015. Scrive Cortellessa, riprendendo Asor Rosa: “La poesia resta fuori dalla melassa mediatica, in quanto priva di un tornaconto commerciale. Questo la rende il genere più vitale della nostra letteratura, ma è anche la sua parte maledetta, nel bene e nel male”.
L’esordio poetico di Davide Leone è certamente fuori commercio nella patria mediatica che vende sentimenti a buon mercato. La struttura stessa della raccolta non si rassegna alle classiche teorie di genere. Il titolo “Meteoritica” suona come un ossimoro, sospeso fra la meteorologia moderna e il rito antico della pre-visione.
Il canzoniere si apre con una prosa che fa il verso alla poesia e alle immagini che affollano la provincia, seguono poi dodici liriche. Appena il tempo di tirare il fiato e ci si ritrova nuovamente a fare i conti con un testo scosceso. Appaiono uno scalpello, uno zoccolo e il bello. È “L’inizio della fine” ad aprire la seconda sezione, ventuno poesie che si aprono a mondi disparati e irreali, dove persino le colline sono paesaggi di pezza. A chiudere, due testi legati a un fantomatico Signor J: “Incrosticidio” e “Lettera dal Silente oltrescuro spazio dell’insopprimibile”.
Difficile decifrare l’universo poetico di Davide Leone, del resto i numeri e le lettere si inseguono nella plaquette a testimoniare il desiderio di lasciare traccia, segno. Nella poesia “Numero 51”, l’essenza stessa della casa pare ingoiata dalla cifra che brucia ogni anima. Campeggia in tutta la raccolta il desiderio della fine: Lasciami andare via/perché ora non c’è più/perché l’ora non è mai esistita/lasciami per sempre tu/che urli senza fiato: la vita. Ancora una volta l’esperienza dell’esistenza deve misurarsi con la solitudine: Sono stato scacciato/dai miei simili/ho provato solitudine/al sicuro/sotto al letto. Svinta è l’immagine della vita e al poeta non resta che raccoglierne i trucioli. L’immagine dell’Albatros nero in picchiata, di baudelairiana memoria, rende perfettamente tempi che non sono più. La lingua pare non bastare e i neologismi si rincorrono. Il nuovo conio non semplifica la lettura del testo e l’autore non sembra interessato a restituire verginità alla lingua. Alcuni neologismi rimandano a significati onomatopeici, ma più spesso si ha la sensazione di una vera e propria esplosione del segno, di una sciarada enigmistica.  Alla sperimentazione linguistica si unisce il verso libero e la ricerca di assonanze, consonanze, allitterazioni. Ed è proprio nella ripetizione ossessiva di certi suoni flauti in frantumi frenando il fumo, che trova spazio lo scarto, il ballo.
Seduto su una poltrona infeltrita, un anziano signore, esaudiva desideri ai suoi scarti.
Ogni scarto: un ballo.
Buona lettura.

Francesco Gallo

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I VINCITORI DEL PREMIO LETTERARIO “CITTA’ DI MONTEFIORINO” OSPITI IN ROCCA

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DSC07462Sezione A – Romanzo inedito

Primo classificato:
Tkawet in calle Cristo de la Luz di Trento Vacca

Secondi classificati, a pari merito:
La condizione dell’anziano di Marcello DesiderioDSC07465
Uno scherzo assurdo di Pina Tromellini

Terzi classificati, a pari merito:
Il mio nome è Andrea di Cristina Bonfanti
Il destino si diverte di Paolo Borsoni                                                                       DSC07468
Il lago delle fate di Pierangelo Colombo

Sezione B – Racconti inediti

Raccolta di racconti prima classificata:
In primo piano di Sabrina Bordone

Raccolta di racconti seconda classificata:DSC07472
Music Box di Antonio Borelli

Raccolte di racconti terze classificate, a pari merito:
Incontri e addii di Laura Giorgi

Qualcosa di te di Mariarosaria Russo

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Sezione C – Silloge di poesie inedite

Silloge prima classificata:
La sera di Macondo di Tiziana Monari

Silloge seconda classificata:
La scatolina dei miracoli di Paolo Polvani

Silloge terza classificata, a pari merito:
Mamma, se posso torno di Franco Casadei
Fragranze d’essenza di Monica Schiaffini

Sez. D – Premio speciale “Giovani Voci narranti” (età inferiore ai 18 anni)
Saranno pubblicati in un e-book i racconti di:
Susanna Anghileri
Luca Giovannini
Matteo Giovannini
Giulia Vannucchi

Complimenti a tutti!

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DIARIO DI UN’ADOZIONE RECENSITO SU ITALIAADOZIONI

Il lungo “viaggio” dell’attesa

Il tempo dell’attesa: un periodo pieno di sogni, speranze, frustrazioni, gioie, paure. Un periodo che può offrire stimoli di crescita e maturazione per una coppia. Riportiamo l’esperienza di una papà adottivo, che della sua attesa ne ha fatto un libro.
Il tempo dell’attesa di un figlio è stato per me e per mia moglie un tempo delicato, dove abbiamo trasformato il bisogno in desiderio, dove abbiamo rafforzato il nostro amore per costruire insieme ciò che volevamo: diventare una famiglia.
Per noi il desiderio del figlio arriva quasi subito, appena dopo sposati. Poi iniziano le difficoltà e i tentativi con la fecondazione assistita, un periodo difficile segnato dalla paura di non diventare genitori. Ogni qualvolta le speranze svanivano, mentre tentavamo con la medicina di realizzare il nostro sogno, provavo una forte frustrazione. Non ci volevamo accanire, non volevamo perdere il nostro equilibrio di coppia in quella dura prova a cui ci stavamo sottoponendo. Eravamo ad un punto morto ed io ero impaurito. Non avrei cresciuto mio figlio, non avrei ripercorso con lui una nuova infanzia, non avrei avuto parole da tramandare a chi le avrebbe testimoniate in futuro. Spesso, dopo quei fallimenti, piangevo. Il sogno sembrava irrealizzabile.
Poi con mia moglie abbiamo partorito la nostra scelta più naturale, conseguentemente all’impossibilità di procreare. Il nostro desiderio di diventare mamma e papà si sarebbe realizzato adottando. Abbiamo allora iniziato con l’iter presso i servizi sociali e da subito ci è sembrato di camminare per la strada giusta verso quello che volevamo. I tempi sarebbero stati lunghi e gli operatori che ci preparavano a diventare genitori adottivi ci mettevano davanti a tutte le eventuali difficoltà che avremmo potuto affrontare, come accogliere un bambino già grande o con problematiche di vario tipo, ma noi eravamo armati della nostra testardaggine e convinti della nostra decisione. Avevamo chiuso la porta dei tentativi di fare un figlio a tutti i costi e aperto il cuore al nostro istinto, che ignorava tutte le paure e i dubbi di quella cosa grande che stavamo facendo:adottare un bambino per crescerlo. Iniziava per noi il tempo dell’attesa.
Abbiamo vissuto quel tempo nell’orbita di un immenso universo vuoto, scandito dagli appuntamenti che il percorso dell’adozione richiede. Ci siamo immaginati sempre su una navicella spaziale, ad attendere che una telefonata ci facesse atterrare. I tempi sono stati lunghi, ma come previsto. Il periodo più difficile è stato quello dopo l’abbinamento quando nostra figlia aveva già un volto e la immaginavamo ad aspettarci, anche se all’epoca era molto piccola. Ricordo perfettamente la telefonata che ci confermava l’abbinamento: ero in una brutta zona industriale, ma quando in macchina risposi al telefono,  i capannoni che avevo davanti si sciolsero con le mie lacrime; quel momento e quel luogo diventarono parte della nostra storia.
A tutti coloro che decidono di compiere questa scelta, consiglio di riflettere per tutto il lungo tempo dell’attesa sul percorso meraviglioso che una coppia che adotta ha avviato: la costruzione di una famiglia con l’accoglienza di un bambino, che porterà ricchezza di affetto e maturità ai genitori che vedranno realizzare il loro progetto.
Io ho esorcizzato quel tempo annotando i miei pensieri nel mio “ Diario di un’adozione”, che ho iniziato a scrivere come traduzione delle mie paure e dei miei desideri, riportando gli avvenimenti per testimoniare un giorno, a mia figlia, cosa accadeva mentre la aspettavamo.
Leggendo ciò che ho scritto, descrivo il passaggio dal figlio ideale, che piano piano si modifica e che poi si materializza diventando lei, Mansi, mia figlia.  Il diario si conclude con il viaggio in India e l’arrivo a casa, il ritorno dal paese di origine di mia figlia, che diventa l’inizio della nostra nuova storia, la nascita della mia famiglia, in un giorno di pioggia dove le emozioni erano incontenibili.
Il giorno in cui abbiamo incontrato nostra figlia è stato come un piccolo big bang, dove tutto finisce, tutto ricomincia, e da allora il mondo gira intorno a lei e il mio diario diventa storia, diventa la nostra ricchezza che useremo per ricordare il tempo passato. Siamo passati da quei giorni di attesa per arrivare oggi, con nostra figlia, ad essere felici insieme, semplicemente.

Rossano Crotti
Diario di un’adozione”, Edizioni Terra Marique, 2014

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CILINDRO, PAPILLON E BENZINA LIMITED EDITION

Edizione limitata: le poesie dell’edizione bianca più quattro bonus tracks poetici scritti a mano dall’autore. Da non perdere!

In questa seconda raccolta di poesie, Fabrizio Tagliaferri imbocca la strada, a lui particolarmente congeniale, di una scrittura aggressiva e vagamente sarcastica. Quasi uno sberleffo volto ad offendere e tradire l’attesa mentale del lettore, in un continuo depistaggio psicologico.
Così facendo, egli mette in mostra naturali doti di spiazzamento, utili al raggiungimento di un senso ulteriore. Viene da pensare, per esempio, alla tecnica della traduzione automatica del cuore, cara al movimento surrealista. Ma ancor di più alla provocatorietà insita nel mondo rock, a cui questi testi sembrano alludere, se non attingere. Come non pensare alla spietata scorrevolezza delle ballate più libere, deliranti, del primo Bob Dylan. O all’altro lato della strada cantato per sempre da Lou Reed.
Sì, perché, in effetti, l’aspetto più convincente di questo libro sta nella forza delle immagini e nell’apparente immediatezza delle frasi, gettate in pasto a un tu misterioso e necessario, con cui il poeta si confronta di continuo, al quale rivolge le sua spasmodica attenzione esistenziale e artistica, come nella notevole Poeta.
L’ambiguo rispetto per la poesia canonicamente intesa e l’alta stima per il trasbordare della musica interiore, la naturale propensione a favore del ritmo libero del proprio respiro, sono di certo fattori pro. Input che spingono il libro verso nuovi lettori (o lettori nuovi), ragioni sacrosante per una pubblicazione che voglia, oggi, stare sui suoi passi.
La poesia di Tagliaferri sembra aspirare spontaneamente al doppio: a sbavare tenendo il tempo, a farsi musica venefica e potabile, a staccarsi dalla pagina – a cui l’Autore stesso l’ha proditoriamente infissa – e liquefarsi in voce.
Voce roca, cadenzata, notturna, ma replicabile e perciò viva. Nel tempo sperso o sparato di chi grida il suo destino da un palco, reale o immaginario. Mentre le mani elettriche di un ragazzo, di una generazione, stanano dalla chitarra il dopo. Affinché il presente si schiodi dal silenzio e dal rumore. E tutto si esprima attraverso la lingua cantata del pensiero.
In ogni caso, il peso della penna come una pistola, insegna Seamus Heaney, è il miglior viatico.

Prefazione firmata dal poeta sassolese
Emilio Rentocchini

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CILINDRO, PAPILLON E BENZINA

In questa seconda raccolta di poesie, Fabrizio Tagliaferri imbocca la strada, a lui particolarmente congeniale, di una scrittura aggressiva e vagamente sarcastica. Quasi uno sberleffo volto ad offendere e tradire l’attesa mentale del lettore, in un continuo depistaggio psicologico.
Così facendo, egli mette in mostra naturali doti di spiazzamento, utili al raggiungimento di un senso ulteriore. Viene da pensare, per esempio, alla tecnica della traduzione automatica del cuore, cara al movimento surrealista. Ma ancor di più alla provocatorietà insita nel mondo rock, a cui questi testi sembrano alludere, se non attingere. Come non pensare alla spietata scorrevolezza delle ballate più libere, deliranti, del primo Bob Dylan. O all’altro lato della strada cantato per sempre da Lou Reed.
Sì, perché, in effetti, l’aspetto più convincente di questo libro sta nella forza delle immagini e nell’apparente immediatezza delle frasi, gettate in pasto a un tu misterioso e necessario, con cui il poeta si confronta di continuo, al quale rivolge le sua spasmodica attenzione esistenziale e artistica, come nella notevole Poeta.
L’ambiguo rispetto per la poesia canonicamente intesa e l’alta stima per il trasbordare della musica interiore, la naturale propensione a favore del ritmo libero del proprio respiro, sono di certo fattori pro. Input che spingono il libro verso nuovi lettori (o lettori nuovi), ragioni sacrosante per una pubblicazione che voglia, oggi, stare sui suoi passi.
La poesia di Tagliaferri sembra aspirare spontaneamente al doppio: a sbavare tenendo il tempo, a farsi musica venefica e potabile, a staccarsi dalla pagina – a cui l’Autore stesso l’ha proditoriamente infissa – e liquefarsi in voce.
Voce roca, cadenzata, notturna, ma replicabile e perciò viva. Nel tempo sperso o sparato di chi grida il suo destino da un palco, reale o immaginario. Mentre le mani elettriche di un ragazzo, di una generazione, stanano dalla chitarra il dopo. Affinché il presente si schiodi dal silenzio e dal rumore. E tutto si esprima attraverso la lingua cantata del pensiero.
In ogni caso, il peso della penna come una pistola, insegna Seamus Heaney, è il miglior viatico.

Prefazione firmata da
Emilio Rentocchini