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PAROLE ERRANTI

Immagine copertina Parole erranti

Più che poesie, l’autore ama definirli pensieri erranti, racconti di viaggio nati da un linguaggio distante anni luce da quello che la sua professione, tra numeri e calcoli, richiede. Il viaggio è il filo conduttore di una narrazione che dialoga con le immagini, con i colori e le sfumature impresse negli scatti del quotidiano, così come nelle fotografie che ritraggono luoghi lontani. L’esperienza dell’autore si trasforma in fonte di ispirazione per racconti intimi ed emozionanti.

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COCCI DI VITA

IO BAMBINA

Sfilavo le spighe verso l’alto con la manina tenera di allora, lo facevo con tutta la forza affinché il risultato fosse certo.

Il pennacchio a punta significava che sarebbe stato maschio, altrimenti sarebbe stata femmina.

Avevo otto anni, in questo modo ipotizzavo il sesso del mio primo figlio quando sarebbe venuto al mondo.

Non era previsto nei miei pensieri di bimba che ciò potesse non accadere.

I bambini nascono e io ne avrei avuto uno.

Durante l’infanzia sentivo forte il desiderio di maternità: seppur fosse un pensiero prematuro, tutto ciò che era legato a una nuova vita, sia negli animali che nelle persone, mi coinvolgeva fortemente.

Quando a sei anni assistetti per la prima volta alla nascita di un capretto dentro la piccola stalla in cui mia mamma teneva le sue adorate capre Bilita e Gina, mi resi subito conto a quale miracolo stessi assistendo.

Il belare di Bilita mentre la testa del capretto faceva capolino non mi turbò: era un dolore buono, necessario, finalizzato a una gioia profonda anche per una capra, pensai. La tenerezza con cui la mamma lo pulì con la lingua, i suoi occhi dolci ancora sofferenti mentre la placenta penzolava dal suo corpo, l’odore del fieno sotto di lei misto a quello del sangue, il calore umido formatosi per il suo e il nostro respiro rendevano quel posto incredibile.

Mi accoccolai vicino alla mamma, come a ringraziarla di avermi fatta femmina, destinata a procreare.

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FUORI CASA

Nel nuovo romanzo di Marzia Mineo, la vita del pendolare non è certo facile, né piacevole. Bisogna provarla almeno una volta per poterne parlare, non per sentito dire, ma per esperienza vissuta.

Le abbreviazioni sono d’obbligo perché luoghi, persone e fatti potrebbero essere facilmente identificabili.

I protagonisti potrebbero anche offendersi e citare la narratrice per danni morali o per diffamazione (ne sarebbero capaci!).

Si useranno dunque dei nomi di fantasia, delle distanze approssimative, dei luoghi verosimili.

Si preferisce lasciare piena libertà nel tracciare il tragitto partendo dal capoluogo di provincia (forse) verso un qualsiasi punto cardinale e non, raggiungibile lungomare o entroterra della Sicilia.  Un nuovo romanzo per la casa editrice Edizioni Terra marique.

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UNA SETTIMANA DA CANE

Mariangela Pasciuti, pedagogista, dirigente scolastico, docente universitario, dopo aver scritto decine di libri di psicologia, pedagogia, didattica, da qualche tempo si dedica ad altri registri narrativi.

Giuseppe Vitale usa il disegno come una lingua da parlare tra neologismi e strafalcioni. Dopo studi scientifici, di storia medievale e di pedagogia dell’immagine, è attualmente impegnato nelle scuole della provincia di Reggio Emilia come atelierista e formatore. Lavora nell’editoria da circa dieci anni.

 

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UNA PICCOLA VOCE DAVANTI A BISMANTOVA

Quara

Nelle prime mattine della mia vita

stan scritti

i miei monti, le vette,

la luna e le stelle.

Il campanile del paese

che suonava l’aria del giorno che veniva.

Due valli

in dolce bisticcio

per chi aveva più terra al sole

più terra all’ombra.

È passata una vita.

Non ho ancora deciso

quale sguardo

piace più al cuore.

 

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LUNA E MEZZA

Torno a casa stasera

con il telefono spento

la sigaretta accesa

ho venti chiamate perse

che non voglio recuperare

è buio

i lampioni si svegliano

la città dorme

i miei pensieri

no

tu

chissà

se vai via

come un’eclissi

e chi sei

sarai mica la luna

che mi accompagna a casa

che mi culla la notte

che mi fa luce quando dentro è buio

maledetto

satellite

non mio

 

Giancarlo Villano, “Luna e mezza”

 

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VITA DA BLOGGER A FIRENZE

Il libro di Stefano Giannattasio è la storia di una resurrezione: d’anima, di corpo e di mente. Le sessantatré liriche della silloge testimoniano lo sforzo titanico di rialzarsi in piedi dopo ventott’anni di malattia. Tanto tempo è durata la grave forma di depressione che ha colpito l’autore, blogger e fotografo in un’amatissima Firenze, che può assumere la dimensione di un magnifico sogno a occhi aperti, ma talvolta anche di un incubo in istantanee catturate per strada.
Sono versi che fanno riflettere sul significato di essere una madre biologica: Non ho mai saputo chi fosse /e perché mi abbia abbandonato all’orfanotrofio e A volte ancora mi domando /perché io abbia visto la luce, sulla genitorialità adottiva: Ero contento di averli chiamati papà e mamma. /Li avevo scelti, stanco di non ricevere amore, sul mistero della nascita, sulla ferita aperta dell’abbandono: si fece rabbia di bestia, /ma la Poesia mi ha cambiato., sulla disperata ricerca dell’amore di coppia forse impossibile da raggiungere per la fragilità della convalescenza: A cadere nella depressione ho sbagliato, /ho fatto del male a mio padre. /La Poesia ha vinto la sofferenza e la sua morte.
Sono versi che non di rado fanno tremare i polsi alle donne e agli uomini di apparente buona volontà, ma di scarsa sensibilità per cui si chiede perdono perché, o mio Signore, non sanno quello che fanno. Sono versi che non giudicano il prossimo poiché permeati dalla verità della parola: Come Lazzaro sono risorto grazie a te e a Gesù.
C’è la consapevolezza di essere sempre e comunque non il figlio di un Dio minore, ma l’incarnazione della volontà e dell’intelligenza supreme che hanno creato e governano l’universo. Sono versi che scavano nella roccia, nei taglienti spicchi di una personalità frantumata, sdoppiata e ricomposta dai farmaci quando calano le tenebre e finalmente il Dottor Jekyll se ne va /e mi lascia in pace.
Alla sottoscritta è spettato solo il compito di trascrivere al computer i versi di Stefano Giannattasio. Mi sono stati dettati al telefono da Mr. Hide, quando riapriva gli occhi nella semioscurità di una stanza, spesso insofferente ad ogni altro suono che non fosse la mia voce. Pazientemente, notte dopo notte, per mesi.

Ornella Fiorentini